8 ottobre 2009 |
Il fumetto, talvolta, diventa il divano di Freud. Succede quando il suo eclettico linguaggio, oltre a illustrare vicende avventurose, viene utilizzato dagli artisti, in chiave umoristica, per descrivere i segreti del proprio inconscio, per narrare manie e nevrosi, ma soprattutto per esorcizzarle grazie alla forza terapeutica del sorriso. Per farlo, si avvalgono di personaggi che un po’ gli assomigliano e che hanno la capacità di esprimere con arguzia e un briciolo di sarcasmo, ansie, stress e fissazioni nei quali i lettori possono ritrovare un po’ di se stessi. Sul divano dello psicanalista, si stende anche un giovane donna di nome Lucrezia, non tanto per cercare autentiche consolazioni, quanto per esibire uno smodato, incontenibile ego. Lucrezia ha passato i trent’anni, fa la traduttrice di fogli illustrativi di medicinali, frequenta un ex fidanzato, devoto più al sofà di casa che a lei; di tanto in tanto scambia noiose confidenze con un vecchio compagno di liceo, oppure ha incontri, inevitabilmente frustranti, con la nonna scorbutica e la madre teledipendente. Cinica e disincantata, cerca un principe azzurro a patto che non intralci la sua personale realizzazione; sogna di diventare una famosa scrittrice; è convinta che prima o poi la sua prorompente personalità le permetterà di conquistare, anzi di sedurre il mondo intero. Lucrezia è un personaggio a fumetti protagonista del libro “Prove tecniche di megalomania”, recentemente edito da Rizzoli/Lizard. Ne è autrice la disegnatrice e sceneggiatrice vicentina Silvia Ziche (poco più che quarantenne, ma con alle spalle una carriera ventennale gremita di successi) che fin dall’esordio si è assunta il compito di rappresentare la metà femminile del mondo. Ha iniziato pubblicando strip su Linus, per poi approdare sulle pagine di Cuore, Smemoranda, Topolino, Comix affermandosi con un stile grafico essenziale ed elegante, e con una vis comica di rara efficacia. Molti i personaggi in gonnella da lei creati e nei quali ha riversato qualcosa delle proprie esperienze. Agli esordi ha dato vita alla serie “Alice a quel paese”, dove raccontava il proprio spaesamento di ragazza arrivata a Milano dalla provincia, poi ha inventato (con Vincezo Cerami) il trio “Gaia, Allegra e Felice” e, in tempi più recenti, “Lucrezia” che, ha dichiarato, “è una versione paradossale di me; fa quello che io non riesco a fare. Rappresenta comunque una tipologia di donna con molti riscontri nella realtà. Incompleta, irrisolta, inconsapevole”. |